Passeggio per il "salotto buono" della città. Molta gente per la strada. Fatico per il mio ginocchio stanco. Mi urtano e devo fare attenzione. Quindi alzo gli occhi, focalizzo l'obbiettivo che voglio raggiungere e procedo schivando e attaccando. Tempo, distanza e premonizione, così cerco di eludere il flusso di umanità che si muove in senso contrario al mio.
Osservo l'orda nemica e, dopo un attimo di smarrimento, divento spietato.
Voglio il sangue di questo esercito di miserabili, vestiti di cartamoneta, che, ruttando un vocabolario di dieci parole, nascosti dietro paraocchi fumè, brigano per un posto in fila all'ingresso di cappelle gentilizie, per comprare un chilo di interiora di pollo al prezzo di un uovo d'oro.
Ma sono troppi e io mi sento solo.
Fuggo dal salotto e batto in ritirata nel mio sottoscala.
A calcolare una nuova rotta.